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La prima volta che un giocatore di calcio prese il pallone tra le braccia e si mise a correre, fregandosene delle regole del gioco e inventando, di fatto, il rugby. 

Passano un bel po’ di millenni.

Durante una piovosa giornata d’estate negli anni settanta, un professorino di storia dell’arte americano fece una sorta di pellegrinaggio in una località nel Nord dell’Inghilterra, che da anni lo affascinava: un campo da gioco della Rugby School. Sul muro, accanto al campo, trovò una lapide che diceva: «Questa pietra commemora l’impresa di William Webb Ellis che, con squisita indifferenza per le regole del calcio dell’epoca, prese la palla tra le braccia e si mise a correre, dando così origine alla peculiare caratteristica del gioco del rugby. ad 1823». Appena letta la lapide, fece subito due cose: prima scrisse una cartolina ai suoi due fratelli, infetti come lui dal “virus del rugby”; la seconda fu iniziare a pensare fra sé e sé: “Che cosa si impadronì di Webb Ellis nel pieno di una partita di calcio e gli fece raccogliere quella palla? E, fatto ancora più strano, come mai non fu semplicemente espulso dal campo? Dopotutto, qual è la differenza con ciò che succede a un artista? L’artista è un tizio che lavora in un sistema di regole e vede all’improvviso che c’è un altro modo di procedere; prende in pugno la situazione e qualcun altro, o molti altri, scelgono di considerare questa mossa non un errore o un fallo, ma come il germe di un nuovo gioco con un proprio sistema di regole”. Con questi pensieri nella testa il professorino, che si chiamava Kirk Varnedoe, tornò in USA e ci scrisse sopra un libro molto famoso di storia dell’arte moderna.

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